Gli acquedotti di Roma
La costruzione degli acquedotti fu una delle imprese più impegnative, meglio riuscite e più significative dell'antica Roma: «la più alta manifestazione della grandezza romana», come la definì Sesto Giulio Frontino, che se n'intendeva, essendo stato curatoÊ aquarum, cioe "sovrintendente agli acquedotti", durante il principato di Nerva, nel 97 d.c. Si può aggiungere che essa fu, in particolare per l'Urbe, anche di straordinaria efficacia, visto che riuscì a soddisfare come non mai le esigenze dei suoi abitanti assicurando loro una fornitura giornaliera d'acqua superiore al milione di litri, il che significa una disponibilità pro capite più che doppia di quella odierna.
E quindi a ragione che l'immagine degli acquedotti viene solitamente associata a quella di Roma la quale — autentica regina. aquarum ("regina delle acque") fu la città d'ogni tempo e d'ogni luogo di gran lunga più ricca e meglio servita del prezioso elemento. E non sono nemmeno esagerate le compiaciute esaltazioni degli autori antichi che già in età augustea — quando di acquedotti ne mancavano ancora quattro o cinque — scrivevano: «Mi sembra che la grandezza dell'impero romano si riveli mirabilmente in tre cose, gli acquedotti, le strade e le fognature» (Dionigi d'Alicarnasso, Ant. Rom. 111, 13) oppure: «Gli acquedotti portano a Roma tanta acqua che questa scorre a torrenti per la città» (Strabone, Geogr. v, 235). Mentre qualche tempo dopo — quando di acquedotti ne erano stati realizzati almeno altri due — Plinio il Vecchio poteva aggiungere: «Chi vorrà considerare con attenzione la quantità delle acque di uso pubblico per le terme, le piscine, le fontane, le case, i giardini suburbani, le ville; la distanza da cui l'acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso» (Nat. Hist. XXVI, 123).
Quanto poi fosse ritenuta importante e meritoria la costruzione di un acquedotto lo dimostra l'equiparazione che ne veniva fatta all'apertura d'una strada o ad una conquista militare e la menzione che entrava a far parte del curriculum del "costruttore". Come mostra il caso, esemplare, dell'elogium posto nel Foro di Augusto sotto la statua di Appio Claudio, il costruttore del primo acquedotto, il cui testo (dettato forse dallo stesso imperatore) lapidariamente ricordava che il personaggio celebrato viam appiam stravit et aquam in urbem adduxit: «aprì la via Appia e portò l'acqua in città».
A testimoniare di questo speciale e peculiare aspetto della civiltà e dell'immagine di Roma restano ancora nella Campagna romana sempre più urbanizzata e all'interno stesso della città le rovine imponenti e suggestive di quei caratteristici "monumenti delle acque" universalmente noti, che Goethe definì «una successione di archi di trionfo»; degni di stare alla pari, per grandiosità e perizia tecnica, con le basiliche e con le terme (queste, tra l'altro, ugualmente peculiari della civiltà romana e impensabili senza gli acquedotti). Ma è appena il caso di ricordare che gli stessi acquedotti restano anche tra i documenti e le testimonianze più caratteristiche e spettacolari della "presenza" di Roma in tutte le antiche province dell'impero, con esempi, a volte, straordinari: da quelli di Segovia, di Merida, di Tarragona, in Spagna, a quello di Nimes — il famoso Pont du Gard — in Francia; da quelli di Efeso e di Aspendos in Asia Minore (Turchia) a quello di Cartagine in Africa.
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Anche a proposito dei "manufatti", cioè delle costruzioni, entrate a far parte della storia dell'architettura, gli antichi non mancarono di sottolinearne soprattutto l'utilità- come non poteva non fare, ad esempio, proprio Frontino, che arriverà ad affermare con orgoglio: «A tali costruzioni, necessarie per così inzenti quantità d'acqua, oseresti paragonare le inutili piramidi d'Egitto oppure le opere dei Greci tanto famose quanto improduttive?». -Ma ancora nel V secolo della nostra era così s'esprimeva al riguardo Rutilio Namaziano: «Che dirò delle correnti sostenute da aerei archi, così alti che appena l' arcobaleno potrebbe portare più in su le acque piovane? Diresti quasi che queste grandi moli si sono alzate verso le stelle» .
Dopo quelle degli antichi, innumerevoli sono le testimonianze di ammirazione, di stupore e di esaltazione degli autori moderni; in particolare, degli illustri e celebri "viaggiatori" del XVIII e XIX secolo, dei disegnatori e dei pittori, dei primi fotografi. Tra tutti basterà ricordare ancora Goethe, che l'11 novembre del 1786 annotava nel suo diario: «Gli avanzi dell'imponente acquedotto impongono veramente rispetto. Quale grande e nobile scopo è quello di abbeverare un popolo mediante un monumento così grandioso». L'inglese John Ruskin invece, nel 1843, con un'immagine di struggente romanticismo che potrebbe far da suggello ad ogni discorso di rievocazione, parlava degli acquedotti come di «una fila sterminata di salici piangenti che si dilungano sulle tombe di un impero».
Le nostre conoscenze sulla storia e le caratteristiche degli acquedotti romani derivano in larga misura dal trattato De aquae ductu urbis Romae (Gli acquedotti della città di Roma), scritto alla fine el I secolo della nostra era dal già ricordato Frontino. L'opera, giunta fino a noi grazie a un "codice" manoscritto del XII secolo conservato nel monastero di Montecassino e "riscoperto" nel 1429 dall'umanista Poggio Bracciolini, costituisce quanto di meglio si possa desiderare sull'argomento — come fonte d'informazione diretta — per completezza e precisione. Le notizie, evidentemente tutte di prima mano (e, comunque, di fonte "ufficiale"), non sono soltanto di carattere storico, ma anche topografico, tecnico, amministrativo e legislativo. L'unica mancanza — peraltro non addebitabile all'autore — riguarda l'assenza, nella rassegna degli acquedotti, trattati nell'ordine cronologico della costruzione, degli ultimi due. Essi furono infatti realizzati dopo la morte di Frontino, avvenuta subito dopo l'anno 100: quello di Traiano, nel 109, e quello di Alessandro Severo, nel 226.
Fonte: Gli acquedotti di Roma antica – Romolo A. Staccioli
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